mercoledì 2 settembre 2009

DIFENDIAMO LA LIBERTA' DI STAMPA


Umberto Eco leads writers’ revolt against Silvio Berlusconi’s attempt to gag press

From
September 1, 2009



Italy’s artistic and intellectual elite was in open revolt yesterday against Silvio Berlusconi’s moves to sue at least three newspapers at home and abroad. More than 120,000 people have signed an online petition defending press freedom.

Umberto Eco, perhaps the country’s leading writer, Dario Fo, the playwright, and Roberto Saviano, author of Gomorrah, the bestseller about the Naples Mafia, were among those signing the petition, started by La Repubblica. The paper is being sued for questioning the Prime Minister’s behaviour and private life.

Mr Eco said: “When someone has to intervene to defend freedom of the press it means that the society, and with it a great part of the press itself, is already sick.” He added that in robust democracies there was no need to defend press freedom “because it enters nobody’s mind to limit it”.

mercoledì 12 agosto 2009

Andrea Bocelli e Sarah Brightman - Time to Say Goodbye





(testo in italiano)

Quando sono solo
sogno all'orizzonte
e mancan le parole
sì lo so che non c'è luce
in una stanza
quando manca il sole
se non ci sei tu con me, con me.
Su le finestre
mostra a tutti il mio cuore
che hai acceso
chiudi dentro me
la luce che
hai incontrato per strada

Time to say goodbye
paesi che non ho mai
veduto e vissuto con te
adesso sì li vivrò.
Con te partirò
su navi per mari
che io lo so
no, no, non esistono più
It's time to say goodbye.

Quando sei lontana
sogno all'orizzonte
e mancan le parole
e io sì lo so
che sei con me, con me
tu mia luna tu sei qui con me
mio sole tu sei qui con me
con me, con me, con me

Time to say goodbye
paesi che non ho mai
veduto e vissuto con te
adesso si li vivrò
Con te partirò
su navi per mari
che io lo so
no, no, non esistono più
con te io li rivivrò.
Con te partirò
su navi per mari
che io lo so
no, no, non esistono più
con te io li rivivrò.
Con te partirò
Io con te.

testo tradotto in inglese: Time to say goodbye

When I'm alone
I dream on the horizon
And words fail
Yes, I know there is no light
In a room where the sun is absent
If you are not with me, with me
At the windows
Show everone my heart
Which you set alight
Enclose within me
The light you
Encountered on the street

Time to say goodbye
Those countries I never
Saw and shared with you
Now, yes, I shall experience them
I'll leave with you
On ships across seas
Which, I know,
No,do no longer exist
With you I shall experience them
It's time to say goodbye.

When you are far away
I dream on the horizon
And words fail
And yes, I know
That you are with me, with me
You, my moon, are here with me, with me
My sun, you are here with me
with me, with me, with me

Time to say goodbye.
I'll leave with you
Those countries I never
Saw and shared with you
Now, yes, I shall experience them
I'll leave with you
On ships across seas
Which, I know,
No, do no longer exist
With you I shall experience them again
I'll leave with you
On ships across seas
Which, I know,
No, do no longer exist
With you I shall experience them again
I'll leave with you
You and I


(traduzione in inglese proposta dagli autori del blog)

lunedì 10 agosto 2009

Modugno - Meraviglioso





testo in italiano

E' vero
credetemi è accaduto
di notte su di un ponte
guardando l'acqua scura
con la dannata voglia
di fare un tuffo giù
D'un tratto
qualcuno alle mie spalle
forse un angelo
vestito da passante
mi portò via dicendomi
Così:
Meraviglioso
ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia
meraviglioso
Meraviglioso
perfino il tuo dolore
potrà guarire poi
meraviglioso
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
Meraviglioso
il bene di una donna
che ama solo te
meraviglioso
La luce di un mattino
l'abbraccio di un amico
il viso di un bambino
meraviglioso
meraviglioso...
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
meraviglioso
La notte era finita
e ti sentivo ancora
Sapore della vita
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso

mercoledì 5 agosto 2009

Difendiamo la lingua italiana

Hermann Broch ha scritto che dove degenera il linguaggio, là degenera la vita.
Se dobbiamo credergli, in Italia la vita è salva, a dispetto della lunga e confusa transizione culturale e politica che stiamo attraversando.
Una lingua è viva quando non ricorre a prefabbricati verbali, propri o altrui, per inventare comunicazione quotidiana o creazione letteraria, ma attinge alla falda profonda delle proprie potenziali risorse espressive.
Queste risorse esistono, si sono conservate e rinnovate, e sono adesso alla portata di tutti. Eppure molte istituzioni pubbliche e private, non esclusa la scuola, non le attivano.
L'italiano non è una lingua lessicalmente ricca. Ma compensa la sua relativa povertà di parole con una straordinaria ricchezza di costruzioni e movenze sintattiche, che possono rimpiazzare ottimamente sostantivi, verbi e aggettivi per garantire al discorso sfumature di significato e di espressione.
L'italiano non è una lingua infinitamente duttile come l'inglese, sensuale come il russo (dove un suono può essere analizzato con dieci parole diverse), tagliente come il francese. E' rigido e può facilmente apparire inamidato e goffo nelle effusioni sentimentali, perché riflette una cultura sotto sotto scettica; ed è anche smorto e impreciso nella resa delle sensazioni, perché troppo ancorato al filtro dell'intelletto.
L'italiano è una lingua dura, lucida, consequenziale. Tra i suoi meriti può vantare anche una propensione naturale al giusto dosaggio tra astratto e concreto.
Ma va ricordato che, per quanto vitale, nessuna lingua può resistere a lungo al disinteresse di chi la parla e la scrive; e in Italia, in questi anni, la disattenzione teorica per l'idioma nazionale è stata totale. Molti scrittori, che sono i depositari naturali della lingua, hanno preferito cercare espressività nei dialetti. Altri hanno atteso trepidanti l'arrivo del basic english. Nessuno, o quasi, ha difeso l'italiano, distinguendolo dai dialetti e dalla dilagante idolatria per tutto ciò che è globale o locale.
La lingua non è tanto minacciata da chi parla o scrive, ma da chi si augura la sua rapida estinzione per poter approdare, quanto prima, a un mondo globalizzato, dove la comunicazione corrente sia affidata ai dialetti e quella culturale al basic english. Da questo punto di vista, il purismo lessicale non è così importante; sono utili i prestiti linguistici, possibili le contaminazioni efficaci, benvenute le innovazioni intelligenti: ma è vitale la difesa della sintassi, che è la struttura ossea di qualsiasi linguaggio.

Gli Aeroporti italiani qualche tempo fa, per una campagna contro il fumo, non hanno trovato di meglio che spalmare parole italiane su un frasario inglese, inventando lo slogan: "Grazie per non fumare!" ("Thank you for not smoking!")
Queste brillanti teste non sanno, forse, di aver creato un mostro.
Ignorano probabilmente che creazioni di questo genere, come il pidgin english dilagante, possono ridurre in breve tempo culture sedimentate alla balbuzie puerile di una clinica per minorati. Ma forse è proprio questo che vogliono.


(tratto dal manifesto in difesa della lingua italiana, pubblicato da " Il Tempo", 2000)

giovedì 30 luglio 2009

Il destino della lingua italiana

Intervista a Luca Codignola, direttore del Centro di Ricerca in Studi Canadesi e Colombiani dell'Università di Genova


Strano destino quello della lingua italiana: mentre in Italia conosce contaminazioni e zone d'ombra, all'estero diventa sempre più "lingua d'uso" non solo perché è la lingua della grande cultura ma anche perché offre opportunità di lavoro. È lo stesso destino dell'Italia, di cui all'estero si ha un'immagine più luminosa di quella che hanno gli italiani che ci vivono.
Ma la lingua della globalizzazione sarà esclusivamente l'inglese? Non ne è convinto Luca Codignola: «Penso che in futuro», dice, «tutti useranno, come in parte già fanno, due lingue, se non addirittura tre: l'inglese, la loro lingua nazionale e magari la loro lingua locale. I livelli di comunicazione sono diversi e le tre realtà possono tranquillamente convivere: si parlerà in inglese per dialogare con l'estero, in italiano per farlo in Italia, e in friulano o in siciliano per mantenere la comunicazione locale. Peraltro è ciò che già accade. Naturalmente, tale multilinguismo comporterà per alcuni un impoverimento del lessico, nel senso che conosceranno meno parole anche se in tante lingue, per altri un arricchimento, nel senso che le varie lingue sono porte aperte su culture diverse ma parallele».

Luca Codignola, autore insieme a Luigi Bruti Liberati di una monumentale "Storia del Canada", è direttore del Centro di Ricerca in Studi Canadesi e Colombiani dell'Università di Genova e presidente dell'International Council for Canadian Studies. È stato recentemente "visiting professor" presso il Dipartimento di Italianistica della University of Toronto. Anche se la linguistica non è l'oggetto dei suoi interessi accademici, Codignola, proprio per le sue frequentazioni canadesi, è tuttavia in grado di giudicare il livello dell'insegnamento dell'italiano in Canada e di indicarne i punti forti e quelli deboli.
Dice Codignola: «I miei studenti canadesi che avevano studiato l'italiano mi hanno sorpreso per la qualità della lingua e per la relativa profondità della conoscenza della cultura del nostro Paese. Ciò depone a favore dei docenti di lingua e cultura italiane che operano in Canada. Gli studenti però riescono con difficoltà a stare dietro agli sviluppi recenti, tanto linguistici quanto culturali, che sono poi quelli che richiedono un rapporto diretto con i quotidiani, la televisione, la radio e la pubblicità, da sempre - più che la letteratura in senso stretto - specchio dell'attualità. I docenti dovrebbero fare molta attenzione a non rimanere essi stessi indietro in questi campi. Insomma, leggere più giornali e guardare più televisione, e forse prestare meno attenzione ai cosiddetti best sellers, la cui qualità è peraltro raramente apprezzabile».
Cosa dovrebbe fare, secondo lei, il governo italiano per promuovere l'insegnamento della nostra lingua all'estero? O è già sufficiente quello che fa?
«Diciamo anzitutto che la mia esperienza nel campo degli studi canadesi, e soprattutto la mia presidenza dell'International Council for Canadian Studies, mi hanno fatto apprezzare le potenzialità che avrebbe un'organizzazione di studiosi i quali, a livello mondiale, promuovano gli "studi italiani". L'international Council for Canadian Studies ha diramazioni in circa trenta Paesi e ha il compito di favorire lo studio, la ricerca, l'insegnamento, le pubblicazioni sul Canada in tutte le discipline accademiche. È una struttura di elevato spessore culturale, e allora mi chiedo: perché non crearne una analoga in Italia?».
Sta pensando a un Consiglio Internazionale per gli Studi Italiani?
«Esattamente. Avrebbe il compito di mettere a punto una strategia mondiale per l'italiano. E dovrebbe essere formato non soltanto da letterati ma da italianisti appartenenti a tutte le scienze umane. Dovrebbe essere un organismo al quale il governo italiano, tramite il Ministero degli Affari Esteri, dovrebbe fornire appoggio logistico, tramite i consolati, e finanziario. Ma la sua indipendenza e quella dei suoi progetti dovrebbero essere fuori discussione. Anni fa Alessandro Vattani, allora responsabile delle Relazioni Culturali della Farnesina, si era mostrato molto interessato all'idea, ma non so se i suoi successori al Ministero abbiano portato avanti il progetto. Naturalmente la lingua sarebbe parte integrante degli 'studi italiani'. Ma ciò detto, va precisata una cosa che ritengo importante...».
Che cosa?
«Che il Consiglio Internazionale per gli Studi Italiani dovrebbe essere formato soprattutto da italianisti all'estero, e che quelli italiani dovrebbero essere solo una delle componenti».
La riforma della Costituzione italiana in senso federalista attribuisce molti nuovi poteri alle Regioni, anche sul piano della promozione della cultura. Secondo lei, ciò è un bene o un male?
«Sono favorevole tanto alla riforma federalista quanto all'attuale progetto di cosiddetta "devoluzione". Anzi, credo che tale progetto dovrebbe essere ancora più incisivo».
Ma non crede che di questo passo l'unità nazionale vada a farsi benedire?
«Le dirò che trovo insensati gli allarmi sull'unità nazionale. Basta vedere l'esperienza del Canada, un Paese che resta unito e forte proprio perché le più estreme aspirazioni localistiche, che ritengo negative, trovano la loro mediazione a livello federale. È curioso come questo esempio venga costantemente ignorato in Italia. Perciò ritengo che in futuro le Regioni possano e debbano farsi carico anche della promozione culturale».
Per esempio?
«Per esempio, se la Regione Piemonte promuove le Langhe e Cesare Pavese, e spiega l'influenza della lingua piemontese sulla lingua italiana o quella della comunità meridionale degli anni Cinquanta sulla lingua piemontese, di fatto contribuisce a far conoscere la cultura dell'Italia tutta e della sua complessità. È logico che il governo centrale dovrebbe avere una funzione di coordinamento, non di antagonismo alle realtà regionali. Ancora una volta il Canada insegna: veda la promozione culturale portata avanti, in tempi di maggiori disponibilità finanziarie, da province come l'Alberta, l'Ontario, e soprattutto il Québec».
Secondo lei, gli insegnanti locali di italiano all'estero dovrebbero seguire dei corsi di qualificazione in Italia, o la loro preparazione è già completa?
«La necessità di seguire giornali, televisione, radio e pubblicità costringe gli insegnanti di italiano all'estero a recarsi regolarmente in Italia, e con ciò voglio dire almeno una volta all'anno, pena lo scollamento dalla lingua e dalla cultura reali. La lingua degli insegnanti di italiano in Canada, così come peraltro quella della televisione e dei giornali in lingua italiana, è vischiosa perché è sempre indietro rispetto a quella della Penisola. Oggi essa è un un po' una lingua "Anni Sessanta", se mi si consente l'espressione. Corretta, ma vecchia. Il fenomeno è noto e non è risolvibile. Ma soggiorni frequenti degli insegnanti in Italia possono ridurre questo gap e renderlo sempre più impercettibile. In un'epoca di viaggi relativamente facili, il contatto continuo è diventato possibile. Naturalmente, sarebbe anche bello che le scuole e le università canadesi si avvalessero in maniera regolare di docenti italiani, che magari potrebbero venire per brevi periodi, ma non meno di un mese, e non necessariamente tutti di provenienza italianistica».
Donato Santeramo è associate professor del Dipartimento di Spagnolo e di Italiano alla Queen's University di Kingston.
Il suo intervento sbigottì i partecipanti alla Preconferenza per il Nordamerica degli Italiani nel Mondo che si tenne a Toronto il 26 e il 27 ottobre del Duemila: «La sezione italiana del mio Dipartimento», annunciò, «ha registrato quest'anno un incremento di iscritti pari al 130 per cento. Considerando gli ultimi tre anni, l'incremento ha superato il duecento per cento».
Dice oggi Santeramo: «Quei dati erano interessanti non solo in termini percentuali, ma anche numerici. E vennero confermati nel primo semestre di quell'anno accademico quando 170 nuovi studenti si iscrissero al corso di Introduzione alla lingua italiana. Di quegli studenti solo il 30 per cento aveva origini italiane. Fu un successo determinato dai nuovi metodi didattici che introducemmo - si cercava non solo di parlare italiano ma di vivere all'italiana - e dalla grande disponibilità dei vertici dell'università».
Perché parla al passato, professore?
«Perché a causa dei tagli effettuati nelle università, alla Queen's University siamo tornati ai livelli degli anni precedenti, che erano davvero bassi. Un vero peccato. Oggi siamo costretti a ridurre i corsi di italiano, e tuttavia ci sono lunghissime liste d'attesa per le iscrizione alle lezioni per principianti. Quello della mancanza di fondi sta diventando un capestro per la didattica. Ma del resto stiamo assistendo al crepuscolo dello scopo originario delle università».
Cosa vuol dire?
«Le università, e non solo quelle canadesi, intendono il proprio ruolo esclusivamente in funzione della preparazione degli studenti a entrare nel mondo del lavoro. Perciò, i corsi universitari a carattere professionale - pensi a ingegneria, a economia - ricevono tutti i fondi di cui hanno bisogno. Di conseguenza, la laurea in italiano, ma non solo in italiano beninteso, che viene considerata non determinante nell'assicurare un lavoro, è diventata di serie B. Il problema vero è che il ruolo delle università non dovrebbe essere schiacciato sulla preparazione professionale degli studenti, ma dovrebbe comprendere l'ampliamento delle loro conoscenze; la loro crescita umana, insomma».
Chi dovrebbe sostenere e promuovere lo studio dell'Italiano: l'Italia o il Canada?
«Entrambi i Paesi. L'Italia perché, come ha accertato da ricerca di De Mauro, l'italiano è diventato lingua d'uso e quindi il suo sostegno avrebbe interessanti ritorni economici e di immagine per il Paese. Il Canada perché ospita una grande enclave italiana, perché punta a intensificare i rapporti economici e commerciali con l'Italia, perché il canadese è affascinato dal nostro Paese. Ma a mio avviso il sostegno dovrebbe essere indirizzato ai corsi di cultura e di letteratura italiane più che di lingua. Questi ultimi, specialmente quelli per principianti, scoppiano di salute, mentre gli altri stanno andando verso la chiusura per mancanza di fondi e quindi di studenti».
Come uscire da questo vicolo cieco, professore?
«Non lo so. Noi docenti, più che lanciare il grido d'allarme non possiamo fare. Ma anche se strillassimo contemporaneamente tutti insieme, dubito che le cose cambierebbero. Nella società di oggi l'unico imperativo è "make money", fare soldi, e tutti si affannano in questa direzione. Non resta che sperare nell'avvento di politici coraggiosi e lungimiranti, capaci di far capire alla gente che fare soldi non e l'unico scopo della vita».

martedì 19 maggio 2009

una storia all'italiana

clicca sul titolo per leggere l'articolo pubblicato sul Dueblog

Ce ne siamo già occupati. Diciamo spesso così. E siamo sempre o comunque spesso costretti a occuparcene ancora. Quando si parla della situazione lavorativa intorno all’insegnamento dell’italiano a stranieri, soprattutto in Italia. è così.
Era ben due anni fa che la nostra Kappa scriveva dell’istituzione della prima SSIS in italiano L2, da parte dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Tanti dubbi, paure, qualche piccola speranza… mai ci saremmo aspettati che si arrivasse a tanto.

Leggete l’articolo apparso ieri su “Il Treviso”. Ce ne saranno altri, di articoli, ne sono certo, perché questa italica storia non può finire qui.

(fonte: il Dueblog, ringraziamo l'autore)

Zucchero - Diamante

lunedì 18 maggio 2009

occhio all'accento

Accento grave o accento acuto?
L'accento grave è quello con la pronuncia aperta: caffè, cioè...Come grafia, è inclinato a sinistra.
L'accento acuto è quello con pronuncia chiusa: perché, ventitré, poté. Come grafia, è inclinato a destra.
Le vocali A I O U vogliono sempre l'accento grave in fine di parola.
Quindi ad esempio: farò così.

La vocale E vuole l'accento grave:
• come verbo essere: è
• nei nomi di origine straniera: caffè, narghilè, tè
• nei nomi propri: Noè, Mosè
• nelle parole: cioè, ahimè, ohimè

La vocale E vuole l'accento acuto:
• nel passato remoto: poté, ripeté
• nei composti di che: perché, affinché, benché, poiché
• nei composti di tre: ventitré, quarantatré
• nei composti di re: viceré
• nei monosillabi: sé (pronome), né, ché
• nella parola mercé.

Monosillabi
I monosillabi non vogliono accento, tranne:
• ché (in senso causale o finale, cioè quando sostituisce perché, esempio:
non chiamarla, ché è ancora arrabbiata con noi)
• dà (indicativo del verbo dare)
• dì (come giorno, o imperativo del verbo dire)
• là
• lì
• né
• sé (pronome, esempio: è troppo pieno di sé).
Quando è unito con stesso, il pronome "se" non vuole l'accento. Lo recupera invece nel plurale, quindi: l'autore parla di se stesso, ma gli autori parlano di sé stessi. Questo perché potrebbe confondersi con "se stessi", congiuntivo del verso stare.
• sì

Gli italiani nel mondo

CHI SONO GLI ITALIANI NEL MONDO: EMIGRAZIONE, UNA REALTA’ GIOVANE.
E’ stato presentato il 30 settembre presso l’Auditorium di via Rieti a Roma il terzo rapporto Italiani nel Mondo realizzato dalla Fondazione Migrantes. Attenzione, assistenza e promozione sono le tre parole chiave che sono emerse durante la conferenza stampa e che caratterizzano i dati presentati. “Gli italiani all’estero sono una realtà lontana solo fisicamente – ha specificato monsignor Piergiorgio Saviola, direttore generale della fondazione, presentando la conferenza. Fra il nostro Paese e i connazionali nel mondo, nel tempo si è creata una frattura sempre più grande. Questo rapporto vuole dunque essere un fattore di saldatura che rafforzi i rapporti con una realtà viva e in continua evoluzione”. Che l’emigrazione sia un fenomeno giovane e vivo è quanto emerge anche dai 46 capitoli di cui si sostanzia il documento e dalle parole di Delfina Licata, caporedattore del Rapporto Italiani nel mondo: “Sono tantissimi i ragazzi che mantengono legami sempre più forti con il loro Paese d’origine. Questo perché vogliono conoscere le loro radici, sentono la necessità di crearsi una loro identità, ormai sempre più multiforme: realizzata nel Paese dove sono nati, ma che si sostanzia anche della loro italianità. La caratteristica peculiare dell’emigrazione italiana è proprio la poliformia. La sfida di oggi – ha aggiunto – è quella di cercare di capire come avvicinare le nuove generazioni”. Sono 3.734.428, infatti, gli italiani residenti all’estero e più della metà (circa il 54%) è costituita di giovani al di sotto dei 35 anni. Di questi, 3 su 10 sono minorenni, oltre 2 su 5 hanno un’età compresa tra i 18 e 24 anni e più di un quarto appartiene alla fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Le cifre parlano chiaro: dal 1990 al 2007 sono in media 24 mila i nati ogni anno all’estero. Per incentivare la partecipazione di queste nuove leve sono stati realizzati corsi di lingua e di promozione della cultura italiana. Chi studia l’italiano lo fa soprattutto perché: “E’ una risorsa in ambito professionale e perché è specchio dell’italian style nel mondo”, ha concluso Licata. Uno degli argomenti principe della conferenza è stata poi la necessità di capire quanto il fenomeno migratorio possa incidere sulla nostra realtà. “Questo libro rappresenta per noi una triplice operazione. Di recupero, coinvolgimento e futuro”. A dirlo Franco Pittau, coordinatore dei redattori Caritas/Migrantes: “Potremmo definirlo supporto per un’azione di recupero dei nostri connazionali, un fattore di coinvolgimento per le strutture pubbliche, politiche, religiose e sociali e un modo nuovo di guardare al futuro. Ma anche uno spunto operativo, qualcosa che vada al di là delle semplici parole, che dimostri come gli italiani all’estero sono una risorsa e non un peso”. L’obiettivo è dunque quello di recuperare l’attenzione su 4 milioni di connazionali sparsi per il mondo e più specificatamente in Europa (56,7%), America (37,9%) e Oceania (3,4%) per la maggior parte. “Dobbiamo investire sull’emigrazione – ha continuato Pittau – e parlare insieme di cultura è già qualcosa di concreto. Una conferenza e un Rapporto come questi possono fare tanto. L’Italia sta vivendo un momento drammatico: bisogna dare un segnale concreto. Sembra quasi che il nostro Paese sia diventato miope, che non riesca più a rendersi conto di quanto ci possa offrire una rete così potente come quella dell’emigrazione e dell’immigrazione”. (by NoveColonne ATG, Roma)

martedì 12 maggio 2009

lunedì 20 aprile 2009

Gaffe di Berlusconi al vertice Nato

Berlusconi rimproverato dalla regina Elisabetta

Non siamo fessi

Beppe Severgnini: Votare per l'Europa, e sentirsi fessi (dal Corriere della Sera)


Forse rassegnato, certo allibito, vagamente nauseato. Fesso, no. Non voterò alle europee il 7 giugno. Se le elezioni per il parlamento nazionale sono state un'umiliazione - liste bloccate, nostro compito era ratificare le nomine dei partiti - quelle per l'Europarlamento s'annunciano come una provocazione.
Dico, avete visto chi vogliono candidare? Vecchi delusi, giovani amiche, soliti trombati, parenti invadenti, ex-potenti indigenti, funzionari sconosciuti. I ristoranti di Strasburgo e Bruxelles li aspettano a braccia aperte: ammesso che ci vadano, una volta eletti. I siti lo scrivono, i giornali lo riportano, le radio ne accennano. Ma davanti ai fotogrammi dall'Abruzzo - diciamolo - chi ha voglia di discutere l'opportunità della candidatura Mastella?
Così Clemente sarà nelle liste PDL, segno e simbolo del nuovo. E chi s'azzarda a dire che hanno voluto saldare il debito per aver silurato Prodi - tuona l'interessato - "è un farabutto!" Il partito, com'è noto, sarà guidato ovunque da Silvio Berlusconi - sebbene la carica di eurodeputato sia incompatibile con l'incarico di governo. Ma se qualcuno avesse il coraggio d'affermare che il partito non guarda avanti, ecco Barbara Matera, 28 anni, scelta personalmente dal leader (curriculum: finalista a Miss Italia, annunciatrice RAI, «letteronza» a «Mai dire gol», «letterata» in «Chiambretti c'è», intepretete di «Carabinieri 7» e «pattinatrice vip» a «Notti sul ghiaccio»). A Strasburgo se la vedrà con la coetanea Elena Basescu, bella figliola del presidente della Romania, Traian Basescu. La ragazza ha competenze incerte, ma splendide foto. Memorabile quella sopra un cavallo deceduto o molto stanco (http://www.claudiocaprara.it/post/2214328.html).
A sinistra Dario Franceschini tuona contro le scelte della maggioranza e assicura: "Noi manderemo a Strasburgo solo persone autorevoli che ci resteranno per tutto il mandato!". Bene: allora non si capisce perché candidano Bassolino (sicuri sia autorevole?) e Cofferati (non voleva lasciare la politica per la famiglia?). E gli alleati? Si presenta Di Pietro (la carica di eurodeputato è incompatibile con quella di deputato nazionale) e si presenta Vendola (ma non è il governatore della Puglia?).
Diciamolo: in fondo la scelta di Berlusconi di candidarsi ovunque - pur sapendo che all'Europarlamento non metterà mai piede - è sfacciatamente sincera. Vuol dire: "Queste elezioni non contano un fico secco, sono soltanto un sondaggio ufficiale dell'elettorato. E poiché ai sondaggi tengo, voglio esserci".
L'entusiasmo del 1979 - primo Parlamento Europeo a elezione diretta - lascia il posto a questa commedia. Non in tutti i Paesi accade: pensate che qui e là, in campagna elettorale, parleranno di Unione Europea e poi eleggeranno gente che, a Straburgo e Bruxelles, ci andrà. E noi? Non capisco perché dobbiamo prestarci a questo gioco. Anzi, lo capisco. Siamo la plebe democratica, e fanno di noi ciò che vogliono.
Vuoi vedere che un po' fessi siamo davvero?

venerdì 3 aprile 2009

Parole in musica di Fabrizio De Andrè





Fabrizio De André è uno dei capisaldi della canzone d'autore italiana. Profondamente influenzato dalla scuola d'oltre Oceano di Bob Dylan e Leonard Cohen, ma ancor piu' da quella francese degli "chansonnier" (Georges Brassens su tutti), e' stato tra i primi a infrangere i dogmi della "canzonetta" italiana, con le sue ballate cupe, affollate di anime perse, emarginati e derelitti d'ogni angolo del mondo. Il suo canzoniere universale attinge alle fonti piu' disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'"Antologia di Spoon River" ai canti dei pastori sardi, da Cecco Angiolieri ai Vangeli apocrifi, dai "Fiori del male" di Baudelaire al Fellini dei "Vitelloni". Temi che negli anni si sono accompagnati a un'evoluzione musicale intelligente, mai incline alle facili mode e ai compromessi.
De Andre' usava il linguaggio di un poeta non allineato, ricorrendo alla forza dissacrante dell'ironia per frantumare ogni convenzione. Nel suo mirino, sono finiti i "benpensanti", i farisei, i boia, i giudici forcaioli, i re cialtroni di ogni tempo. Il suo, in definitiva, e' un disperato messaggio di liberta' e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere. Di lui, Mario Luzi, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ha detto: "De Andre' e' veramente lo chansonnier per eccellenza, un artista che si realizza proprio nell'intertestualita' tra testo letterario e testo musicale. Ha una storia e morde davvero".

( dal sito http://www.ondarock.it/italia/fabriziodeandre.htm)

sabato 14 febbraio 2009

E' delicato-Zucchero

Tu lo sai che non e’ la fine
Si’ che lo sai…….
Che viene maggio
E sciolgo le brine
Si’ che lo sai……
Resti d’inverno
Persi nel vento
Io non mi stanco no, no
E vengo a cercarti
In un sogno amaranto
Questo cuore
Sparpagliato
X il mondo se ne va’
Questo cuore
Disperato
E’ delicato
Dove sei
Arcobaleno
E cosa fai…….
Miele selvaggio
Quando ti sogno
Che cosa fai…….
Nel cuore mio
Tra il nulla e l’addio
Questo cuore
Sparpagliato
X il mondo se ne va’
Questo cuore
Disperato
E’ delicato
Cosi’ mi manchi
Nell’universo
In mezzo al mondo
Cosi’ ti cerco
E grido forte
Da in mezzo al mondo
Solo io
Posso trovarti
Solo io
E inginocchiarmi
Solo io
X innalzarti
Mio sole mi senti
Solo io
Da quante lune
Solo io
Ti aggiusto il cuore
Solo io
Io sono un’ombra
E tu, e tu sei il sole
Yehee yehee
Cosi’ mi manchi
Yehee yehee
E grido forte
Yehee yehee
Da in mezzo al mondo
Mio sole rispondi
Questo cuore
Sparpagliato
E’ delicato
E tutto qua


mercoledì 4 febbraio 2009

LA LETTERATURA CI VIENE IN AIUTO

"Faciliter l'accès à toutes littératures européennes: le problème des langues moins répandues"

Ippolita Avalli

Sono onorata di essere stata invitata a parlare, come scrittrice italiana ed europea sul tema di enorme rilevanza, l'accesso e l'insegnamento delle letterature europee, soprattutto di quelle meno diffuse.
Nelle sue svariate forme, la letteratura crea un mondo immaginario capace di interagire con il mondo reale, ci permette di conoscere più da vicino la cultura particolare di cui è l'espressione, di fare esperienza di esistenze sconosciute che avvengono altrove, diverse dalla nostra. Flaubert diceva che se uno scrittore parte con l'idea di fare un'opera universale non combina nulla. Uno scrittore deve partire da sé. Quanto più saprà dare vita al suo particolare specifico umano e culturale, tanto più raggiungerà l'altro nella sua specificità e potrà dirsi universale.
Per questo sono convinta che dobbiamo creare i presupposti per accedere in modo più facile e familiare, sulle rispettive letterature nazionali, non solo per accrescere il potenziale e le capacità individuali, ma anche per sviluppare maggiormente una comune identità culturale europea.
Letteratura e lingua non sono la stessa cosa, anche se non si può parlare dell'una a prescindere dall'altra. Sul versante della lingua, assistiamo da tempo a un processo che suona come un campanello d'allarme e deve farci riflettere.
Pragmatismo, scambi commerciali, tecnologia, facilità negli spostamenti e nell'informazione, hanno prodotto un linguaggio ibrido, un angloamericano appena sufficiente a garantire le procedure, che rischia di mettere all'angolo e far precipitare in un ambito minoritario tutti gli altri idiomi europei. Nato negli aeroporti, dove la gente si incontra per caso e solo per qualche ora condivide un destino comune, sta velocemente espandendosi attraverso Internet e la musica. Soprattutto i giovani lo hanno adottato in massa perché suona familiare, agile, rassicura, consente un controllo benché della comunicazione, e preserva dall'angoscia di mandare segnali contradditori. Si può chiedere e dare informazioni senza vergognarsi se non si parla bene, né avere paura delle risposte. In un certo senso si può già definire una lingua, e poiché sta costruendo modelli propri, non passerà molto che potrà produrre una sua letteratura.
La spinta del processo in corso parte dal basso ed è fortissima, sarebbe insensato, politicamente e storicamente sbagliato e fallimentare cercare di fermarlo. E perché poi dovremmo cercare di fermarlo? La sua forza travolgente nasce dal desiderio legittimo di capirsi, di scambiare alla pari, di sentirsi parte attiva e integrante di una comunità, e vediamo bene come la comunicazione ha trasformato qualitativamente il rapporto con il sapere perché quando la quantità supera una certa misura diventa qualità.
Se parlare una lingua comune è un fatto di enorme importanza politica, l'ipotesi dell'avvento di una lingua unica, per forza di cose egemone, propone uno scenario inimmaginabile dal punto di vista strettamente culturale. Quali saranno le conseguenze, gli assetti futuri, cosa resterà e cosa sarà modificato?
Forse sarà inevitabile, può darsi che in futuro nel mondo non si parleranno che tre, quattro lingue (da tempo un autore tradotto in inglese vede moltiplicarsi il numero dei suoi lettori e salire le sue quotazioni), ma che le nostre lingue mantengano vita e dignità molto dipenderà dalle politiche che saremo in grado di avviare fin da oggi.
Per non essere travolti dal processo in atto, potenziamo al massimo lo studio delle lingue e letterature europee. L'educazione qui gioca un ruolo fondamentale. Bisogna partire presto, da subito, cominciare dalla scuola, rendere i nostri figli bilingue in età infantile, vanno bene computer, Nintendo e Play Station, ma facciamo anche in modo che leggano favole e storie di tutte le letterature europee. Una sola strofa di poesia può aprire dei mondi. Creiamo in loro una curiosità, un interesse, quella vicinanza che dà il senso della familiarità e dell'appartenenza. Crescendo, ormai padroni degli strumenti necessari, i nostri ragazzi potranno apprezzare e scoprire con piacere gli altri Paesi dell'Unione. Non aspettiamo che siano liceali, come succede adesso, per dar loro la possibilità di studiare in un Paese diverso dal proprio. E, non lo si raccomanderà mai abbastanza, educhiamoli alla lettura. La lettura è un piacere oltre che una necessità, un momento di intimità con se stessi, per parlare e scrivere bene bisogna leggere, e comunicare con proprietà di linguaggio dà soddisfazione, oltre a rendere più competitivi nel mondo del lavoro.
Come può venirci in aiuto la letteratura? Chi scrive mette qualcosa dove altrimenti c'è un vuoto. Un romanzo, un racconto, non sono solo la rappresentazione verosimile della realtà che lo ha ispirato, ma una struttura vera e propria, a sé stante, un modello di esempio di vita e di comportamento. Il bacino delle letterature dei paesi dell'Unione è ricco, ricchissimo di questi modelli di vita, la produzione artistica dei suoi autori è un capitale immenso che può e deve fare la differenza.
Vorrei dire due parole sulla situazione italiana.
Su 

PartBase, una delle principali pagine istituzionali del sito web ufficiale dell’Unione, dedicata alla Piattaforma Europea dei programmi di ricerca dei partner comunitari, le lingue che dispongono di un link attivo sono 7, inglese, francese, tedesco e spagnolo, con l'aggiunta del finlandese, del danese e dell'olandese, ma quello italiano non è ancora attivo, come quello portoghese, purtroppo. Questa è una mancanza nostra, di noi italiani, e approfitto di questa sede prestigiosa per lanciare un'esortazione alla classe politica del mio Paese affinché si lasci al più presto alle spalle le beghe interne e approvi quelle riforme che ci metteranno finalmente al passo con l'Europa. Oltre a discutere sulla sicurezza, sul welfare e la riforma del sistema elettorale, se adottare o meno il modello spagnolo o tedesco, dovremmo ricordare sempre e fare in modo che i giovani lo abbiano ben presente, che non possiamo sapere dove andiamo se dimentichiamo le nostre radici, la nostra storia. E' quello che siamo stati che ci fa quelli che siamo. Nessuno da noi dubita della grandezza del nostro patrimonio linguistico e letterario, ma non basta credere o pensare, se poi non si agisce di conseguenza.
Nel sud dell'Italia, a Palermo, con la scuola siciliana è nata la poesia moderna, con Giotto la prospettiva, il codice romano è usato ancora oggi, in italiano è scritto uno dei più grandi, se non il più grande, poema occidentale, la Divina Commedia, e il Rinascimento ha rivoluzionato la concezione pittorica. L'Italia possiede il 65% delle opere d'arte del mondo, una fiorente tradizione operistica, tanto che per laurearsi nei conservatori negli Stati Uniti c'è l'obbligo di studiare l'italiano. Eppure, nell'immaginario collettivo siamo il Paese della pizza, della moda, della Ferrari, dei mondiali di calcio, del Vaticano, delle vacanze e… della mafia. Fa male sapere che, malgrado le statistiche confermino che la domanda dell'insegnamento della nostra lingua è in aumento un po' dappertutto, a Firenze come in altre città italiane le scuole di lingua vengono chiuse nell'indifferenza delle Istituzioni.
E che dire di come trattiamo i nostri traduttori? Diceva Montale che per tradurre poesia bisogna essere poeti. Abbiamo ottimi traduttori ma sono pochi perché lo studio delle lingue non è incoraggiato e li trattiamo male, con una paga da fame, mentre chi si fa mediatore di senso gioca un ruolo fondamentale nella struttura di un testo, si assume un'enorme responsabilità, e andrebbe doppiamente sostenuto e valorizzato.
Dai lavori di questa giornata sarebbe opportuno che uscisse un programma che si prenda cura delle biodiversità delle letterature e delle lingue europee, soprattutto di quelle più deboli, perché meno diffuse. Dobbiamo elaborare strategie nuove e avere la forza e l'autorevolezza di farle approvare in sede istituzionale. Quando leggo un autore straniero mi rammarico sempre di non trovare il testo originale a fronte. Lo si fa con la poesia, perché non farlo anche con i romanzi e i saggi? Basterebbe anche il primo capitolo a dare il sapore, il profumo, un po' come succede quando in un viaggio facciamo delle foto su cui costruiamo affetti, memorie, stimoli che ci fanno desiderare di tornare. Se, come dice Cioran, una lingua la si abita, mi piace pensare alle letterature europee come a tante case, ognuna con il proprio carattere, la propria forma e specificità, che sorgono e prosperano nella vallata chiamata Europa e che gli uomini che le abitano abbiano in tasca le chiavi di tutte.

lunedì 2 febbraio 2009

La situazione negli Stati Uniti

La nostra lingua ha sconfitto secolari stereotipi offensivi
Parlano Simone Marchesi e Edoardo Lebano

Prendiamo a caso qualche perla dai giornali americani. "Non c'è mai stata, da quando New York venne fondata, una classe così bassa e ignorante tra gli immigrati come gli italiani meridionali" (New York Times, 5 marzo 1882). "Questi spioni e vigliacchi siciliani, discendenti di banditi e assassini, che hanno portato in questo paese gli istituti dei fuorilegge, le pratiche degli sgozzatori, l'omertà delle società del loro paese, sono per noi un flagello senza remissione" (New York Times, 12 marzo 1891). "C'è una gran quantità di malattie organiche in Italia e molte deformazioni, molti zoppi e ciechi, molti con gli occhi malati. Questi, da bambini, vengono esibiti dai loro genitori o parenti per attirare la pietà e l'elemosina dei passanti". (Leslie's Illustrated, 23 marzo 1901). "Si suppone che l'italiano è un grande criminale. L'Italia è prima in Europa per i suoi crimini violenti" (New York Times, 14 maggio 1909). "Non abbiamo bisogno in questo paese dell'uomo con la zappa, sporco della terra che scava e guidato da una mente minimamente superiore a quella del bue, di cui è fratello" (North American Revue, maggio 1925).
L'Italic Studies Institute di New York ha esaminato un paio di anni fa oltre mille pellicole girate a Hollywood dal 1928 in poi in cui ci sono personaggi o scene riguardanti gli italiani. Solo il 27 per cento dei film rimanda un'immagine positiva; per il restante 73 per cento gli italiani sono criminali, anzitutto, e poi rozzi, buffoni, stupidi e bigotti. Se oggi il New York Times non si sognerebbe di scrivere (si spera) quello che scriveva un secolo fa, nell'immaginario collettivo degli americani è rimasto a lungo lo stereotipo negativo dell'immigrato italiano. Lo dimostra il cinema, che è lo specchio più fedele dell'immaginario collettivo. Qualche esempio: in "Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?", film del 1972 ambientato a Ischia, ci sono un untuoso direttore d'albergo, un cameriere siciliano ricattatore, i contadini complici che fanno sparire i cadaveri e l'immancabile cameriera meridionale con i baffi. E in "Harlem Nights" (1989) il corrottissimo sergente della polizia si chiama Phil Cantone, che non è un cognome scandinavo.

SEMPRE PIU' ITALIANO NEL MONDO

La nostra lingua tra le prime cinque più studiate.
di ANTONIO MAGLIO

Nel 1995 gli studenti iscritti ai corsi di lingua italiana all'estero erano 33.065, nel Duemila sono saliti a 45.699 (+38,2 per cento); sempre all'estero, i corsi organizzati nel 1995 erano 2.346 con l'impiego di 628 insegnanti; nel Duemila sono stati 3.684 (+57 per cento) con 686 inegnanti (+8,4 per cento). I dati sono contenuti nell'indagine "Italiano 2000" che Tullio De Mauro, uno dei più autorevoli studiosi di linguistica italiana (è stato anche ministro della Pubblica Istruzione), ha condotto per conto del Ministero degli Esteri sulle motivazioni che spingono gli stranieri a studiare la nostra lingua. Da quell'indagine, che De Mauro ha realizzato con un gruppo di ricerca dell'Università per Stranieri di Siena (Massimo Vedovelli, Monica Barni e Lorenzo Miraglia) risulta che l'italiano è tra le prime cinque lingue straniere più studiate nel mondo. È alle spalle dell'inarrivabile inglese e ancora lontano dal francese (che tuttavia è in netto declino), ma quasi alla pari con tedesco e spagnolo. È una notizia che ridà vigore a quanti fino a ieri intonavano il "De Profundis" per l'italiano, considerato vittima predestinata della globalizzazione, e che oggi si affrettano a capire il perché di tanta vitalità. Ma non è una notizia inaspettata. C'erano già delle indicazioni positive: quelle sul peso specifico della nostra lingua, per esempio, che risulta al 19° posto tra quelle parlate nel mondo mentre la popolazione italiana è appena l'1 per cento di quella mondiale; o i dati relativi alle pagine Internet, il 3 per cento delle quali è scritto in italiano, cifra considerevole se si pensa che la rete è nata da pochi anni ed è quasi tutta anglofona.
L'indagine "Italiano 2000" è stata condotta negli Istituti Italiani di Cultura, coinvolti per la raccolta dei dati relativi non solo alle proprie iniziative, ma anche a quelle degli altri organismi che gestiscono all'estero i corsi di italiano.
Sul finire degli anni Settanta, l'Istituto per l'Enciclopedia Italiana affidò a Ignazio Baldelli un'altra indagine per capire le motivazioni che spingevano gli stranieri a studiare la nostra lingua. Baldelli accertò che si trattava di motivazioni culturali: si studiava l'italiano perché è la lingua dell'arte, della musica, della grande letteratura, ma anche della scienza di Galilei.
L'indagine di Tullio De Mauro ha individuato nuove motivazioni: restano ancora quelle culturali - il che vuol dire che il legame tra l'italiano e la sua tradizione è sempre forte -, ma ce ne sono di nuove. Quasi uno studente su quattro, per esempio, frequenta i corsi di italiano per motivi di lavoro: con la conquista da parte del Made in Italy di mercati sempre più vasti, con l'aumento delle partnership tra imprese italiane e imprese straniere, conoscere la nostra lingua significa avere più ampie possibilità di lavoro perché la si può utilizzare nei processi economico-produttivi. In gergo si dice "spendibilità sociale di una lingua", e quella dell'italiano si rivela alta. Poi ci sono motivazioni collegate al turismo, al commercio, alla creatività delle nuove produzioni industriali (auto, moda, mobili), allo stile di vita, alla gastronomia. Infine ci sono le motivazioni personali: il partner italiano o di origine italiana. A tutto va aggiunta la preparazione degli insegnanti.
In sintesi - e utilizzando le parole di Tullio De Mauro - la conoscenza dell'italiano da parte di uno straniero "può essere un investimento culturale, come via per un diretto contatto con la nostra cultura; un investimento formativo, per coloro che intendono svolgere la propria formazione nel sistema scolastico e universitario italiano; un investimento economico, per chi decide di darsi una professionalità centrata sulla nostra lingua; un investimento in termini di lingua d'uso". È sempre De Mauro che spiega cosa ha portato alla riscoperta della nostra lingua: "Negli ultimi decenni è mutata l'immagine del nostro Paese fra gli stranieri. L'Italia ha conquistato un ruolo di rilievo (come sistema sociale, produttivo, culturale, linguistico) nel panorama internazionale". E continua: "Gran parte delle manifestazioni contemporanee della società e del sistema produttivo italiano sono apprezzate dagli stranieri perché sono capaci di continuare nell'oggi e nelle forme della modernità un sistema di valori che viene considerato come intrinseco dell'identità italiana". Insomma, il sistema-Italia è sempre più presente all'estero e conquista gli stranieri.

sabato 31 gennaio 2009

Perché studiare la lingua italiana

Chi viene a contatto per la prima volta con l'Italia, s'innamora immediatamente di questo Paese. Forse succederà anche a te la stessa cosa. Il meraviglioso paesaggio, il mare azzurro e sempre diverso da luogo a luogo, le città storiche, la cucina famosa nel mondo e quella regionale tutta da scoprire, ma anche la simpatia degli italiani, sono tutti motivi che spingono sempre più turisti a visitare la penisola: unico stivale del mondo, piccolo ma geograficamente ricco di contrasti, colori e struggenti tramonti. E cosa devi fare se vuoi visitare l'Italia? Imparare l'italiano? Oh no! dirai, non un'altra lingua straniera. Prova invece! Vedrai che ne vale la pena. Potresti ribattere: conosco già l'inglese, a che mi serve imparare l'italiano? Hai ragione: se hai intenzione di viaggiare per il mondo, riuscirai a cavartela più facilmente con l'inglese. Ma nel mondo esistono molte lingue e conoscerne alcune ti apre porte impensate. Inoltre è consigliabile conoscere bene e di prima mano l'ambiente che ci circonda. Anche ciò depone a favore dell'Italia, che è un grande Paese ben collegato con tutto il mondo. Mettiamo che tu devi decidere se studiare l'italiano come lingua straniera. Hai ancora dubbi? E' giunto allora, il momento di conoscere l'Italia un po' più da vicino, e forse ti sarà facile convincerti che la scelta è giusta.

L'Italia è la terra degli antichi Romani: essi fondarono un grande impero della cui eredità tutti gli europei vivono ancor oggi. Essi ci hanno lasciato, per esempio, il loro alfabeto, hanno posto le basi del diritto moderno, hanno fondato molte città e costruito strade che hanno precorso le nostre odierne autostrade. Dalla Palestina è giunta a Roma un'idea, che nel corso dei secoli si è diffusa in tutto il continente: il Cristianesimo. Ancora oggi puoi ammirare dovunque in Italia le testimonianze di questa civiltà.

A partire dal Medioevo l'Italia fu divisa in una serie di città-stato e in principati di piccola e media grandezza. Il loro potere non era più tanto grande quanto quello dei Romani. Tuttavia hanno regalato all'Europa una rinascita spirituale, artistica e scientifica: il Rinascimento, appunto. Firenze è l'esempio più affascinante di questa nuova fioritura di civiltà. Con i suoi palazzi ed i suoi tesori artistici attira ancora oggi innumerevoli visitatori e studiosi. In quel tempo operò Leonardo da Vinci, la personificazione dell'ideale dell'uomo universale, che inventò la macchina per volare e nello stesso tempo dipinse la Gioconda (Monna Lisa). Gli italiani hanno dimostrato di possedere talento per l'arte, la scienza e la tecnica anche in epoche successive. Alle soglie del Novecento, per esempio, il fisico Guglielmo Marconi inventò il telegrafo senza fili, rivoluzionando così il sistema delle comunicazioni. E oggi l'architetto italiano Renzo Piano sta costruendo opere straordinarie in tutto il mondo.

Ancora oggi il mondo della musica parla italiano quando si tratta del tempo di una sinfonia che viene eseguita: allegro, vivace, andante, ecc.Chi non conosce le opere di Vivaldi, Rossini, Puccini e Verdi, o meglio le canzoni di Gianna Nannini, Eros Ramazzotti, Luciano Pavarotti, Zucchero Fornaciari, Laura Pausini, Nek o Andrea Bocelli?

Sai che le parole Bank, Giroconto o saldo derivano dall'italiano? Gli italiani sono stati grandi viaggiatori e mercanti ed all'inizio dell'età moderna hanno introdotto nella contabilità e nel sistema bancario una serie di novità che hanno lasciato la loro traccia nel linguaggio finanziario.

L'Italia è un Paese altamente industrializzato che coniuga in molti campi la tecnologia di avanguardia con un originale design. Tutto il mondo apprezza e riconosce l'efficienza della tecnologia e la genialità del design italiano in ogni campo, come ad esempio in quello automobilistico, e tanto per fare qualche nome (Ferrari e Pininfarina), o delle moto (Piaggio, Aprilia, Guzzi o Agusta) o delle bici come Bianchi o Atala.

E di quale marca sono i tuoi jeans? Forse Diesel, Valentino, Armani, Versace o Max Mara?

E cosa dire dello sport italiano e del calcio in particolare, nuovo olimpo e passerella dei migliori professionisti mondiali. Infatti quasi tutti i campioni del calcio prima o poi vengono a giocare in Italia. Anche i migliori giocatori della nazionale argentina hanno giocato o giocano in squadre italiane: nel passato Sivori, Maradona, Passarella poi Veron, Batistuta, Zanetti, Simeone, per non parlare poi del Brasile!

Come sai l'Europa Unita con l'adozione della moneta unica si avvia ad essere non più solo centro e faro culturale del mondo ma anche a riacquistare una leadership mondiale in campo economico e di valuta di riferimento per il mercato mondiale. Ciò porterà sicuramente all'allargamento dei confini della nuova Europa ad altri Paesi, e l'Italia può essere il partner ideale ed utile per allacciare nuovi rapporti in campo europeo. Diventerà sempre più importante comunicare con gli altri popoli per capire meglio il loro modo di pensare e di vivere, pertanto è necessario conoscere più lingue straniere. Tutto ciò poi si riflette anche nei programmi e negli strumenti adottati nelle scuole, e la conoscenza della lingua, della cultura e del sistema scolastico ed universitario italiano è un altro fiore all'occhiello non solo per avvicinarsi all'Europa ma anche per studiare o specializzarsi nelle più antiche università europee, come ad esempio Bologna.

Forse dirai: l'italiano è bello ed è ottima cosa impararlo, ma potrò utilizzarlo per miei studi universitari? A cosa mi servirà nella mia futura carriera?

Anche in vista di una futura occupazione la conoscenza dell'italiano può rivestire, come già detto, notevole importanza. In campo commerciale sono particolarmente ricercati quegli specialisti che conoscono più lingue, anche quelle settoriali. Essi sono, infatti, molto più rari di coloro che conoscono solo l'inglese ed il francese. Inoltre si avverte sempre di più l'esigenza di operatori che possano occuparsi con passione del crescente ed intenso scambio culturale e turistico tra l'Italia e gli altri paesi.

Potresti forse un giorno desiderare di vivere o lavorare in Italia. Se poni adesso le basi per acquisire la conoscenza dell'italiano, te ne verrà, oltre a molti vantaggi, un gran piacere. Ne sei convinto? E allora a presto. Ciao!