Hermann Broch ha scritto che dove degenera il linguaggio, là degenera la vita.
Se dobbiamo credergli, in Italia la vita è salva, a dispetto della lunga e confusa transizione culturale e politica che stiamo attraversando.
Una lingua è viva quando non ricorre a prefabbricati verbali, propri o altrui, per inventare comunicazione quotidiana o creazione letteraria, ma attinge alla falda profonda delle proprie potenziali risorse espressive.
Queste risorse esistono, si sono conservate e rinnovate, e sono adesso alla portata di tutti. Eppure molte istituzioni pubbliche e private, non esclusa la scuola, non le attivano.
L'italiano non è una lingua lessicalmente ricca. Ma compensa la sua relativa povertà di parole con una straordinaria ricchezza di costruzioni e movenze sintattiche, che possono rimpiazzare ottimamente sostantivi, verbi e aggettivi per garantire al discorso sfumature di significato e di espressione.
L'italiano non è una lingua infinitamente duttile come l'inglese, sensuale come il russo (dove un suono può essere analizzato con dieci parole diverse), tagliente come il francese. E' rigido e può facilmente apparire inamidato e goffo nelle effusioni sentimentali, perché riflette una cultura sotto sotto scettica; ed è anche smorto e impreciso nella resa delle sensazioni, perché troppo ancorato al filtro dell'intelletto.
L'italiano è una lingua dura, lucida, consequenziale. Tra i suoi meriti può vantare anche una propensione naturale al giusto dosaggio tra astratto e concreto.
Ma va ricordato che, per quanto vitale, nessuna lingua può resistere a lungo al disinteresse di chi la parla e la scrive; e in Italia, in questi anni, la disattenzione teorica per l'idioma nazionale è stata totale. Molti scrittori, che sono i depositari naturali della lingua, hanno preferito cercare espressività nei dialetti. Altri hanno atteso trepidanti l'arrivo del basic english. Nessuno, o quasi, ha difeso l'italiano, distinguendolo dai dialetti e dalla dilagante idolatria per tutto ciò che è globale o locale.
La lingua non è tanto minacciata da chi parla o scrive, ma da chi si augura la sua rapida estinzione per poter approdare, quanto prima, a un mondo globalizzato, dove la comunicazione corrente sia affidata ai dialetti e quella culturale al basic english. Da questo punto di vista, il purismo lessicale non è così importante; sono utili i prestiti linguistici, possibili le contaminazioni efficaci, benvenute le innovazioni intelligenti: ma è vitale la difesa della sintassi, che è la struttura ossea di qualsiasi linguaggio.
Gli Aeroporti italiani qualche tempo fa, per una campagna contro il fumo, non hanno trovato di meglio che spalmare parole italiane su un frasario inglese, inventando lo slogan: "Grazie per non fumare!" ("Thank you for not smoking!")
Queste brillanti teste non sanno, forse, di aver creato un mostro.
Ignorano probabilmente che creazioni di questo genere, come il pidgin english dilagante, possono ridurre in breve tempo culture sedimentate alla balbuzie puerile di una clinica per minorati. Ma forse è proprio questo che vogliono.
(tratto dal manifesto in difesa della lingua italiana, pubblicato da " Il Tempo", 2000)
mercoledì 5 agosto 2009
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