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Ce ne siamo già occupati. Diciamo spesso così. E siamo sempre o comunque spesso costretti a occuparcene ancora. Quando si parla della situazione lavorativa intorno all’insegnamento dell’italiano a stranieri, soprattutto in Italia. è così.
Era ben due anni fa che la nostra Kappa scriveva dell’istituzione della prima SSIS in italiano L2, da parte dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Tanti dubbi, paure, qualche piccola speranza… mai ci saremmo aspettati che si arrivasse a tanto.
Leggete l’articolo apparso ieri su “Il Treviso”. Ce ne saranno altri, di articoli, ne sono certo, perché questa italica storia non può finire qui.
(fonte: il Dueblog, ringraziamo l'autore)
martedì 19 maggio 2009
lunedì 18 maggio 2009
occhio all'accento
Accento grave o accento acuto?
L'accento grave è quello con la pronuncia aperta: caffè, cioè...Come grafia, è inclinato a sinistra.
L'accento acuto è quello con pronuncia chiusa: perché, ventitré, poté. Come grafia, è inclinato a destra.
Le vocali A I O U vogliono sempre l'accento grave in fine di parola.
Quindi ad esempio: farò così.
La vocale E vuole l'accento grave:
• come verbo essere: è
• nei nomi di origine straniera: caffè, narghilè, tè
• nei nomi propri: Noè, Mosè
• nelle parole: cioè, ahimè, ohimè
La vocale E vuole l'accento acuto:
• nel passato remoto: poté, ripeté
• nei composti di che: perché, affinché, benché, poiché
• nei composti di tre: ventitré, quarantatré
• nei composti di re: viceré
• nei monosillabi: sé (pronome), né, ché
• nella parola mercé.
Monosillabi
I monosillabi non vogliono accento, tranne:
• ché (in senso causale o finale, cioè quando sostituisce perché, esempio:
non chiamarla, ché è ancora arrabbiata con noi)
• dà (indicativo del verbo dare)
• dì (come giorno, o imperativo del verbo dire)
• là
• lì
• né
• sé (pronome, esempio: è troppo pieno di sé).
Quando è unito con stesso, il pronome "se" non vuole l'accento. Lo recupera invece nel plurale, quindi: l'autore parla di se stesso, ma gli autori parlano di sé stessi. Questo perché potrebbe confondersi con "se stessi", congiuntivo del verso stare.
• sì
L'accento grave è quello con la pronuncia aperta: caffè, cioè...Come grafia, è inclinato a sinistra.
L'accento acuto è quello con pronuncia chiusa: perché, ventitré, poté. Come grafia, è inclinato a destra.
Le vocali A I O U vogliono sempre l'accento grave in fine di parola.
Quindi ad esempio: farò così.
La vocale E vuole l'accento grave:
• come verbo essere: è
• nei nomi di origine straniera: caffè, narghilè, tè
• nei nomi propri: Noè, Mosè
• nelle parole: cioè, ahimè, ohimè
La vocale E vuole l'accento acuto:
• nel passato remoto: poté, ripeté
• nei composti di che: perché, affinché, benché, poiché
• nei composti di tre: ventitré, quarantatré
• nei composti di re: viceré
• nei monosillabi: sé (pronome), né, ché
• nella parola mercé.
Monosillabi
I monosillabi non vogliono accento, tranne:
• ché (in senso causale o finale, cioè quando sostituisce perché, esempio:
non chiamarla, ché è ancora arrabbiata con noi)
• dà (indicativo del verbo dare)
• dì (come giorno, o imperativo del verbo dire)
• là
• lì
• né
• sé (pronome, esempio: è troppo pieno di sé).
Quando è unito con stesso, il pronome "se" non vuole l'accento. Lo recupera invece nel plurale, quindi: l'autore parla di se stesso, ma gli autori parlano di sé stessi. Questo perché potrebbe confondersi con "se stessi", congiuntivo del verso stare.
• sì
Gli italiani nel mondo
CHI SONO GLI ITALIANI NEL MONDO: EMIGRAZIONE, UNA REALTA’ GIOVANE.
E’ stato presentato il 30 settembre presso l’Auditorium di via Rieti a Roma il terzo rapporto Italiani nel Mondo realizzato dalla Fondazione Migrantes. Attenzione, assistenza e promozione sono le tre parole chiave che sono emerse durante la conferenza stampa e che caratterizzano i dati presentati. “Gli italiani all’estero sono una realtà lontana solo fisicamente – ha specificato monsignor Piergiorgio Saviola, direttore generale della fondazione, presentando la conferenza. Fra il nostro Paese e i connazionali nel mondo, nel tempo si è creata una frattura sempre più grande. Questo rapporto vuole dunque essere un fattore di saldatura che rafforzi i rapporti con una realtà viva e in continua evoluzione”. Che l’emigrazione sia un fenomeno giovane e vivo è quanto emerge anche dai 46 capitoli di cui si sostanzia il documento e dalle parole di Delfina Licata, caporedattore del Rapporto Italiani nel mondo: “Sono tantissimi i ragazzi che mantengono legami sempre più forti con il loro Paese d’origine. Questo perché vogliono conoscere le loro radici, sentono la necessità di crearsi una loro identità, ormai sempre più multiforme: realizzata nel Paese dove sono nati, ma che si sostanzia anche della loro italianità. La caratteristica peculiare dell’emigrazione italiana è proprio la poliformia. La sfida di oggi – ha aggiunto – è quella di cercare di capire come avvicinare le nuove generazioni”. Sono 3.734.428, infatti, gli italiani residenti all’estero e più della metà (circa il 54%) è costituita di giovani al di sotto dei 35 anni. Di questi, 3 su 10 sono minorenni, oltre 2 su 5 hanno un’età compresa tra i 18 e 24 anni e più di un quarto appartiene alla fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Le cifre parlano chiaro: dal 1990 al 2007 sono in media 24 mila i nati ogni anno all’estero. Per incentivare la partecipazione di queste nuove leve sono stati realizzati corsi di lingua e di promozione della cultura italiana. Chi studia l’italiano lo fa soprattutto perché: “E’ una risorsa in ambito professionale e perché è specchio dell’italian style nel mondo”, ha concluso Licata. Uno degli argomenti principe della conferenza è stata poi la necessità di capire quanto il fenomeno migratorio possa incidere sulla nostra realtà. “Questo libro rappresenta per noi una triplice operazione. Di recupero, coinvolgimento e futuro”. A dirlo Franco Pittau, coordinatore dei redattori Caritas/Migrantes: “Potremmo definirlo supporto per un’azione di recupero dei nostri connazionali, un fattore di coinvolgimento per le strutture pubbliche, politiche, religiose e sociali e un modo nuovo di guardare al futuro. Ma anche uno spunto operativo, qualcosa che vada al di là delle semplici parole, che dimostri come gli italiani all’estero sono una risorsa e non un peso”. L’obiettivo è dunque quello di recuperare l’attenzione su 4 milioni di connazionali sparsi per il mondo e più specificatamente in Europa (56,7%), America (37,9%) e Oceania (3,4%) per la maggior parte. “Dobbiamo investire sull’emigrazione – ha continuato Pittau – e parlare insieme di cultura è già qualcosa di concreto. Una conferenza e un Rapporto come questi possono fare tanto. L’Italia sta vivendo un momento drammatico: bisogna dare un segnale concreto. Sembra quasi che il nostro Paese sia diventato miope, che non riesca più a rendersi conto di quanto ci possa offrire una rete così potente come quella dell’emigrazione e dell’immigrazione”. (by NoveColonne ATG, Roma)
E’ stato presentato il 30 settembre presso l’Auditorium di via Rieti a Roma il terzo rapporto Italiani nel Mondo realizzato dalla Fondazione Migrantes. Attenzione, assistenza e promozione sono le tre parole chiave che sono emerse durante la conferenza stampa e che caratterizzano i dati presentati. “Gli italiani all’estero sono una realtà lontana solo fisicamente – ha specificato monsignor Piergiorgio Saviola, direttore generale della fondazione, presentando la conferenza. Fra il nostro Paese e i connazionali nel mondo, nel tempo si è creata una frattura sempre più grande. Questo rapporto vuole dunque essere un fattore di saldatura che rafforzi i rapporti con una realtà viva e in continua evoluzione”. Che l’emigrazione sia un fenomeno giovane e vivo è quanto emerge anche dai 46 capitoli di cui si sostanzia il documento e dalle parole di Delfina Licata, caporedattore del Rapporto Italiani nel mondo: “Sono tantissimi i ragazzi che mantengono legami sempre più forti con il loro Paese d’origine. Questo perché vogliono conoscere le loro radici, sentono la necessità di crearsi una loro identità, ormai sempre più multiforme: realizzata nel Paese dove sono nati, ma che si sostanzia anche della loro italianità. La caratteristica peculiare dell’emigrazione italiana è proprio la poliformia. La sfida di oggi – ha aggiunto – è quella di cercare di capire come avvicinare le nuove generazioni”. Sono 3.734.428, infatti, gli italiani residenti all’estero e più della metà (circa il 54%) è costituita di giovani al di sotto dei 35 anni. Di questi, 3 su 10 sono minorenni, oltre 2 su 5 hanno un’età compresa tra i 18 e 24 anni e più di un quarto appartiene alla fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Le cifre parlano chiaro: dal 1990 al 2007 sono in media 24 mila i nati ogni anno all’estero. Per incentivare la partecipazione di queste nuove leve sono stati realizzati corsi di lingua e di promozione della cultura italiana. Chi studia l’italiano lo fa soprattutto perché: “E’ una risorsa in ambito professionale e perché è specchio dell’italian style nel mondo”, ha concluso Licata. Uno degli argomenti principe della conferenza è stata poi la necessità di capire quanto il fenomeno migratorio possa incidere sulla nostra realtà. “Questo libro rappresenta per noi una triplice operazione. Di recupero, coinvolgimento e futuro”. A dirlo Franco Pittau, coordinatore dei redattori Caritas/Migrantes: “Potremmo definirlo supporto per un’azione di recupero dei nostri connazionali, un fattore di coinvolgimento per le strutture pubbliche, politiche, religiose e sociali e un modo nuovo di guardare al futuro. Ma anche uno spunto operativo, qualcosa che vada al di là delle semplici parole, che dimostri come gli italiani all’estero sono una risorsa e non un peso”. L’obiettivo è dunque quello di recuperare l’attenzione su 4 milioni di connazionali sparsi per il mondo e più specificatamente in Europa (56,7%), America (37,9%) e Oceania (3,4%) per la maggior parte. “Dobbiamo investire sull’emigrazione – ha continuato Pittau – e parlare insieme di cultura è già qualcosa di concreto. Una conferenza e un Rapporto come questi possono fare tanto. L’Italia sta vivendo un momento drammatico: bisogna dare un segnale concreto. Sembra quasi che il nostro Paese sia diventato miope, che non riesca più a rendersi conto di quanto ci possa offrire una rete così potente come quella dell’emigrazione e dell’immigrazione”. (by NoveColonne ATG, Roma)
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