lunedì 18 maggio 2009

occhio all'accento

Accento grave o accento acuto?
L'accento grave è quello con la pronuncia aperta: caffè, cioè...Come grafia, è inclinato a sinistra.
L'accento acuto è quello con pronuncia chiusa: perché, ventitré, poté. Come grafia, è inclinato a destra.
Le vocali A I O U vogliono sempre l'accento grave in fine di parola.
Quindi ad esempio: farò così.

La vocale E vuole l'accento grave:
• come verbo essere: è
• nei nomi di origine straniera: caffè, narghilè, tè
• nei nomi propri: Noè, Mosè
• nelle parole: cioè, ahimè, ohimè

La vocale E vuole l'accento acuto:
• nel passato remoto: poté, ripeté
• nei composti di che: perché, affinché, benché, poiché
• nei composti di tre: ventitré, quarantatré
• nei composti di re: viceré
• nei monosillabi: sé (pronome), né, ché
• nella parola mercé.

Monosillabi
I monosillabi non vogliono accento, tranne:
• ché (in senso causale o finale, cioè quando sostituisce perché, esempio:
non chiamarla, ché è ancora arrabbiata con noi)
• dà (indicativo del verbo dare)
• dì (come giorno, o imperativo del verbo dire)
• là
• lì
• né
• sé (pronome, esempio: è troppo pieno di sé).
Quando è unito con stesso, il pronome "se" non vuole l'accento. Lo recupera invece nel plurale, quindi: l'autore parla di se stesso, ma gli autori parlano di sé stessi. Questo perché potrebbe confondersi con "se stessi", congiuntivo del verso stare.
• sì

8 commenti:

Controinfo ha detto...

Ciao Roberto,
sono italiano ma da 10 anni vivo negli USA. Tanti ma tanti anni fa ho vinto il primo premio di poesia indetto dall'universita' di Padova. oggi mi occupo di filosofia, ho insegnato filosofia del linguaggio qui in America. Sono interessato al rapporto fra sviluppo mentale, Etica, razionalita' e strutture linguistiche, ho scritto qualche pezzo divulgativo su Napoli.com su questi temi.
Ho frequentato per alcuni anni la chat italiana di aol dove si scannano come animali e per me rappresentano cospicua evidenza della mia tesi, secondo la quale lacune di natura linguistica sono alla base di lacune in altri ambiti. Se ne vuoi parlare sono qui.
Bruno

roberto ha detto...

Ciao Bruno,
grazie per il tuo commento. Le tue ricerche sul rapporto tra strutture linguistiche e sviluppo mentale sembrano interessanti, anche se personalmente non conosco questo campo di ricerca. Ti invito quindi a parlarmene ancora o a suggerire argomenti di discussione.
Roberto

Controinfo ha detto...

La mia tesi consiste mell'affermare un'inestricabilita' fra la nostra concezione del reale, cioe' il mentale, e il linguaggio. Per usare una metafora, il linguaggio e' come un paio di occhiali,senza il quale il miope non vedrebbe nulla. L'individuo preverbale non ha una conoscenza della realta' simile alla nostra.
Un altra analogia significativa e
quella fra la moderna concezione della fisica e la mia concezione (fatta mia su basi di lavori che vanno dal secondo Wittgenstein a Quine, mio maestro). La relativita' di Einstein ha sostituito la nostra intuizione dello spazio e del tempo come realta' assolute e indipendenti, con una nozione di spazio-tempo consistente in un tessuto unico. Parimenti, la mia ontologia e' intrisa di mentale e quindi inseparabile dalle modalita' della conoscenza.
Per quanto penosa, questa introduzione e' necessaria per indirizzare l'eventuale interlocutore verso il sentiero di considerazioni che potrebbero seguire. A questo punto vorrei cominciare con il porre un quesito al potenziale interlocutore: secondo voi come mai l'aggettivo possessivo e' cieco rispetto a cio' che e' intrinsecamente posseduto e cio' che invece non lo e'? Noi diciamo " la mia mente", " il mio orgoglio" e " la mia casa", "la mia automobile" eccetera, lo stesso aggettivo per cose che sono essenziali e cose che invece sono accidentali. Se a qualcuno cio' sembra sorprendente e ha una sua idea discutiamone.
P.S. Scrivo con un tastiera americana e quindi i miei accenti sono approssimativi.
Bruno

Controinfo ha detto...

La tesi della indeterminatezza della traduzione di W.V.O Quine e' una tesi che riguarda il significato e viene elucidata da Quine in 'Parola @ Oggetto" tradotto da Mondadori. Io scrissi un saggio in cui mostrai un esempio della tesi che era sfuggito anche a Quine il quale la formulo' in relazione a una traduzione radicale, fatta da una lingua inesistente. Ma ci sono casi di indeterminatezza anche fra lingue reali.
La tesi sostiene che dati due manuali di traduzione, con ipotesi logicamente incompatibili fra loro, e' possibile che tutta l'evidenza confermi entrambi i manuali. La cosa puo' essere mostrata anche con l'esempio dei semplici verbi ausiliari 'essere', 'avere' da un lato e la tradizionale traduzione dei due in ' to be' e ' to have'. Posso costruire un manunale di traduzione che sostiene, contrariamente a cio' che sappiamo che 'essere' = 'to have' e 'avere' = to be.
Parto dal passato " I have gone" che si traduce con ' Io sono andato' e vado avanti con altri casi come" I am sleepy", " I am hungry" che si traducono rispettivamente con ' Io ho sonno' e "io ho fame'. Aggiungo un numero cospicuo di eccezioni e il mio manuale, pur sostenendo ipotesi di traduzione in conflitto con i manuali conosciuti, coprira' tutta l'evidenza fornita da frasi ben formate. Ovviamente il manuale tradizionale si raccomdanda perche' piu semplice, con meno eccezioni, ma non vi e' modo di dire quale e' giusto e quale sbagliato.
Il significato come entita' astratta si smaglia ed evapora alla luce di considerazioni di questa natura e altre.

Anonimo ha detto...

Le tesi che hai esposto sono molto interessanti e sono basi per moltissimi approfondimenti linguistici che non è facile esaurire in poche righe. tutti noi abbiamo un'idea personale del linguaggio e della sua correlazione con la mente; c'è infatti una relazione fisica tra la parola e la mente e viceversa. La mente influenza la parola e la conoscenza della realtà influenza la mente. Questo collegamento tra mente e linguaggio viene fatto a livello personale da ogni individuo e tanto più se l'individuo è parte di una collettività; in questo caso le società si confrontano con se stesse e con le altre società e con la loro concezione del reale. Ma dovendo questo confronto sul linguaggio avvenire tramite il linguaggio, verrà confermata la tesi dell'indeterminatezza della traduzione tra lingue reali.

Controinfo ha detto...

ben detto anonimo, sebbene la mia tesi e' piu radicale della tua versione. Io non credo che esista una mente, cosi come noi la concepiamo, che non sia illuminata,per intenderci, dalla conoscenza del linguaggio. Noi vediamo la realta' esterna perche possediamo il linguaggio.

Controinfo ha detto...

Sulla grammatica Italiana tradizionale
Mi riferisco alla grammatica Italiana di tanti anni fa e non so se le mie regole sono obsolete e oggi sostituite da regole migliori. Quindi sottopongo queste mie riflessioni sulla grammatica a chi e’ piu aggiornato di me magari per un dialogo.
I verbi sono divisi in due grandi categorie: verbi transitivi e intransitivi. I primi esrpimono una relazione diretta fra il soggetto e l’oggetto, i secondi no. “ Io mangio la mela” indica un relazione diretta fra il soggetto e l’oggetto; ‘ Impallidisco all’idea’, ’ vado a casa’ non esprimerebbero una azione diretta fra un soggetto e un oggetto. In genere i verbi di moto non sono transitivi e il secodo di questi due e‘ intransitivo.
La distinzione non e’ sempre chiara come sembrerebbe a prima vista per vari motivi: “ Io sparo a qualcuno “ e’ un azione molto diretta ancorche’ illegale eppure ’sparare’ non e’ transitivo.
Qui ovviamente il grammatico direbbe che l’oggetto e’ sottinteso perche’ si spara qualcosa a qualcuno, in genere un proiettile. Ma in ‘ Io penso a mia madre’ non sembrerebbe esserci un oggetto sottinteso e tuttavia il verbo non e’ transitivo; e non vi e’ nulla ma proprio nulla che sia piu diretto di un oggetto del pensiero.
Un modo piu chiaro di individuare I verbi transitivi e’ riconoscerli dalla domanda “ che cosa mangi? “ chi vedi oggi? Se la domanda contenente il verbo contiene anche i pronomi ‘chi‘, o, ‘che cosa‘, allora il verbo e’ transitivo. Ma noi possiamo chiedere ’ a chi hai sparato? In tale domanda non vi e’ sottinteso alcun oggetto diretto, quindi il verbo dovrebbe essere classificato come intransitivo secondo questo criterio e rimane il dubbio forte che l‘azione e‘ drammaticamente diretta… Intanto ci sono verbi di moto che sembrano transitivi “ Salgo le scale’ si puo dire, e la domanda contiene ‘che cosa’, infatti possiamo dire ’ che cosa sali?’ A meno di non volere essere molto grammatici e dire’salgo per le scale’. Una caratterizzazione dei verbi transitivi e’ che si possono trasformare in verbi passivi nei rispettivi contesti:’ Io mangio la mela’ diventa’ la mela e’ mangiata da me’, ma non possiamo dire ’ la casa e’ andata da me’ come forma passiva di ’Io vado a casa’; ma posso dire ’mia madre e’ pensata da me’ , allora di incanto il verbo e’ diventato transitivo? Nota che quest’ulteriore criterio e’ relativo all’italiano, molti verbi intransitivi in inglese si possono passivizzare.
Ma a cosa serva questa distinzione ? Retaggio della grammatica latina essa aveva, credo, una funzione ben precisa in quella lingua analitica. Infatti in essa il verbo transitivo esigeva l’accusativo e gli intransitivi no.
Ne a rigor di logica, nessuno, straniero o italiano verrebbe sfiorato dall’idea di passivizzare un verbo di moto’. Ne la distinzione puo’ aiutare a imparare l’italiano come seconda lingua: verbi che sono transitivi in una lingua possono non esserlo in un altra.

Controinfo ha detto...

La situazione si complica alla luce di considerazioni semantiche ulteriori. Ad esempio ‘ Io telefono a mamma’, perche’ telefonare e’ intransitivo, ma posso dire esattamente la stessa cosa, equivalente da un punto di vista semantico con la frase’ Chiamo mamma al telefono’. come mai nel primo caso non vi sarebbe un azione che passa direttamente dal soggetto all’oggetto e nel secondo caso si, se le due espressioni sono semanticamente equivalenti?
Il sospetto che la distinzione sia basata su qualcosa di molto artificioso e quindi solo una vaga approssimazione della realta’ sottostante questi distinguo, e’ forte. Se la distinzione alla fine si riduce a indicare la necessita’ di una preposizione fra il verbo e l’oggetto, allora non e’ piu una distinzione semantica ma puramente sintattica, e siccome le preposizioni, specialmente nei verbi di moto, vanno imparate verbo per verbo ( io vado a casa ,a Roma, in Inghilterra, salgo in ascensore, vado, salgo in montagna, cammino per strada, vado in automobile, -non di moto ->> penso a, sparo a) non sarebbe piu’ utile abolirla del tutto in favore magari di una distinzione piu aderente ai fatti?




In logica elementare abbiamo una nozione di relazione che potrebbe tornare utile per una caratterizzazione dei verbi. Esistono relazioni a due o piu posti, espresse cosi’ : “ xRy’ e’ una relazione fra due variabili dove x e y stanno per due cose come ad esempio due individui che si amano: X ama Y.
Una caratterizzazione dei verbi in termini di relazioni forse potrebbe tornare piu utile.
Intanto avremmo verbi relazioni a zero posti : piove, nevica ( la qual cosa ci libererebbe da quella mostruosita’ grammaticale di sottintendere il soggetto nella forma di ‘esso’ che e’ una cretinata (esso piove).
Verbi relazioni a 1 posto” Vado, cammino sospiro, dormo.
Verbi relazioni a 2 posti: amo Luisa, mangio la mela, sogno l’estate, vado a casa.
Verbi relazioni a 3 posti: do il libro a Mario, insegno matematica a Giorgio

Ma un verbo descritto come una relazione a n posti, puo’ ricomparire in altre categorie come ’mangiare’ incluso in tutte e tre ‘ Mangio’, ‘mangio una mela’ ‘mangio una mela con la forchetta’ .
Premesso che ogni verbo esige l’apprendimento delle preposizioni inerenti, l’utilita’ di questa classificazione consisterebbe nel predisporre l’indivduo che impara la lingua ad aspettarsi possibili ulteriori sviluppi del verbo in altri contesti e imparare a riconscere quei possibili sviluppi.
Ho provato a classificare semanticamente i verbi secondo criteri diversi che potessero in qualche modo illuminare l’uso delle preposizioni ad essi legate.
Ad esempio verbi che si riferiscono alla sfera cognitiva, alla sfera emotiva, e infine alla sfera comportamentale. ’ Io conosco la storia ’ (cognitivo), ‘Amo il danaro’ ( emotivo), ’vado a Venezia’ (comportamentale). Niente da fare non viene fuori niente di utile. Ho provato una distinzione dipendente dal tempo che un azione impiega a compiersi e neanche in questo caso viene fuori qualcosa di interessante. Forse qualcuno di voi ha idee migliori delle mie.